Il mondo di Madreselva

C’era un tempo in cui la terra era Madre, e ogni suo frutto poteva essere usato per il bene dell’umanità.


C’era un tempo in cui la conoscenza delle erbe era essenziale per chi avesse a cuore il benessere degli altri.

C’era un tempo in cui scienza e magia erano indistinguibili, e i confini erano tracciati dalle credenze religiose più che dal buon senso umano.

C’era un tempo in cui le donne non avevano diritto di parola. Elle tuttavia parlavano, e grazie alle loro parole il mondo si fece via via sempre più giusto.

C’era un tempo in cui le distanze erano più ampie, il cammino impervio e le direzioni incerte. 


Pure, la voglia di conoscere muoveva il mondo.
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C’era un tempo in cui gli echi degli scontri tra le grandi signorie della pianura giungevano attutiti in Valle. Bastavano però ad accendere l’odio e a scatenare crimini, mascherati da scontri ideologici, ma dettati in realtà da volontà di profitto e sopraffazione.


C’era un tempo in cui le cime dei monti non erano un invito a mettere alla prova la propria tenacia e coraggio, ma muri invalicabili che dividevano persone e civiltà 


Come avvenne che il Gigiat chiese aiuto al Santo Francesco

Leggende perdute delle Valli del Nord

 Tra le leggende narrate negli anni, solo alcune sono state tramandate sino ai nostri giorni. Molte sono andate perdute. Il materiale documentale ritrovato recentemente ha permesso di ricostruirne alcune. Ecco quella conosciuta come: 

Come avvenne che il Gigiat chiese aiuto al Santo Francesco


Il Gigiat - da un affresco in San Martino Valmasino

Il Gigiat, quel gigante mezzo uomo e mezzo stambecco che abitava tra le valli di Masino, era dispettoso e a volte irascibile, ma buono. 

Proteggeva la valle e anche se non si mostrava volentieri, tutti i valligiani lo conoscevano e, pur rispettandolo, non lo temevano, perché sapeva che a loro non avrebbe torto un capello.

Non così per la gente intorno, che pensava al Gigiat come a una creatura del demonio, e se gli capitava di transitare  sulla Costiera del Cech, o di scendere sino a Morbinium, la gente fuggiva da lui o subiva da loro insulti e lanci di pietre.

Naturalmente, per ripicca, il Gigiat non perdeva occasione di devastare pollai,  far andare a male formaggio e vino, tosare in malo modo pecore e capre.

In ogni caso quell’essere aveva protetto molte volte la gente della valli di Masino.  Ci fu una volta, però, che dovette ricorrere a un aiuto particolare.
Vi fu un anno in cui l’inverno fu particolarmente crudele. Morse con il gelo tutta la montagna, arrivando presto, quando ancora l’autunno non aveva concluso il suo cammino, e attardandosi sino a ben oltre l’equinozio. Aveva rovesciato così tanta neve che in alcuni casi le abitazioni ne erano completamente sommerse, impedendo a chi vi abitava di uscire. La gente della valle si ritrovò ben presto senza cibo e  legna per il fuoco, e senza alcuna possibilità di procurarselo.
Il Gigiat, nonostante le dimensioni, era il solo che poteva muoversi agilmente sulla neve fresca, e si adoperava per procurare un po’ di fieno per gli animali e legna per qualche focolare. Ma non poteva fare molto altro.
Fu mentre portava della legna  che il borgomastro del villaggio, da una finestra non ancora coperta dalla neve lo chiamò e gli chiese: “ Devi andare a Morbinium a chiedere aiuto. Dì che portino viveri qui su con le slitte. Fa presto, che la nostra gente inizia a morire.”
Il Gigiat traversò a grandi passi la valle, così veloce che provocò piccole valanghe sui versanti più ripidi.  Scese quasi scivolando lungo il corso del torrente Masino, giungendo nell’ampia Valle Tellina di cui la Valle di Masino era tributaria, attraversò il ponte di Ganda e giunse nel centro di Morbinium, nella piazza del paese.   Qui iniziò a parlare, con la sua voce gutturale e il suo modo un po’ brusco di pronunciare le parole.
“La gent de la val del Masen g’han besogn de òtar. Podì purtà robi de mangià cunt la slita?”
Ma nessuno, per paura o perchè non comprendevano quello che aveva da dire, si fermava o interrogava ulteriormente. Per ore l’essere rimase in piazza, cercando di convincere gli abitanti del pericolo che la gente della Valle di Masino correva, ma non ottenne risultato. Ogni volta che si avvicinava a qualcuno, questi fuggiva con una espressione di terrore, o lo minacciava con un bastone.
Ormai al tramonto, stava per tornare scoraggiato e a mani vuote  dalla sua gente quando una gazza, che aveva svolazzato nella piazza per un po’ , lo apostrofò:
“È inutile che insisti presso queste persone. Ti temono e neppure capiscono quello che dici. La tua natura animale confonde la tua lingua. Hai bisogno di qualcuno che parli per te.”
“E dove lo trovo?” replicò l’essere.
“Vi è un paese, a sud di qui, chiamato Ascisium, vi vive un uomo santo, un frate di nome Francesco, che ha il dono di parlare con gli animali. Lui ti aiuterà.”
Senza porre indugio, il Gigiat si diresse verso quel luogo. Galoppò una notte e un giorno. DIfatti, pur restando normalmente ritto sulle zampe posteriori, l’essere poteva correre a quattro zampe, ed era veloce anche più del più veloce destriero.
La sera dopo trovò il sant’uomo.
“Francesco, aiutami a salvare la mia gente.”
Una volta che ebbe spiegato il problema, si mise Francesco sulle spalle, che si aggrappò alle corna di stambecco del Gigiat e la sera successiva furono ancora una volta nella piazza di Morbinium.
Qui toccò al sant’uomo spiegare quale necessità avessero gli abitanti della Valle di Masino, e effettivamente raccolse molto cibo e legna da ardere. 
Nessuno però era disposto a salire in valle.
“Con questo tempo, la tormenta di neve ti porta fuori strada, quando non ti copre di neve, e se  non lo fa la tormenta, vi sono le valanghe.”
Francesco si guardò intorno, guardò il Gigiat, poi si mise a parlare, in una lingua che nessun uomo poteva intendere, ma la capiva il Gigiat, che per metà era animale.
Stava chiamando a raccolta tutti gli animali liberi della zona. Si avvicinarono furtivi dapprima dei cani randagi, poi volpi, tassi, e cervi e daini, persino un lupo, che si pose accanto a Francesco quasi fosse da lui addomesticato.
“Ecco chi ti aiuterà a portare le provviste alla tua gente. Tu li guiderai per strade sicure, così che non abbiano a pentirsi per aver accolto il mio invito. Io resterò qui pregare.”
Così avvenne. Il Gigiat guidò gli animali presso tutti i borghi della Valle di Masino, ove lasciarono viveri e materiale, quindi li riaccompagnò in Valle Tellina. La sua gente era salva.
Tornato da Francesco, lo trovò che ancora pregava. Attese due giorni e due notti, sin che ebbe finito di pregare. “Ora puoi riportarmi a casa” disse il frate, e in un giorno e una notte furono ad Ascisium.
Dopo questo accadimento, il Gigiat si fece vedere sempre meno, sino a scomparire del tutto, non si sa se perchè stia invecchiando o perchè non ami la compagnia degli uomini.
Qualcuno però giura di sentire a volte, di notte, lo scalpiccio di zoccoli e un brontolio di suoni indistinti con la voce, inconfondibile, del Gigiat. 

Ispirazioni


1)
Molte sono le componenti che concorrono alla creazione di un lavoro, sia essa una storia, un saggio, un’opera d’arte o dell'ingegno. Il percorso che mi ha portato alla scrittura di Madreselva inizia da lontano,
Ci sono alcuni elementi, alcune storie e narrazioni che nel corso del tempo hanno acceso in me l’interesse per un periodo della storia, il medioevo e per la letteratura fantastica, temi che spesso sono legati tra loro a filo doppio. Infatti spesso il genere fantasy si appropria degli elementi caratteristici del vivere medievale, e d’altra parte quello fu un periodo in cui la dimensione soprannaturale era ben radicata nell’esperienza quotidiana.
Di sicura suggestione, grazie anche all’età, fu per me la visione di due lavori TV, che allora ebbero un grande impatto mediatico.
Il primo di questi, e certamente il più famoso, fu “La Freccia Nera” adattamento televisivo del romanzo di Robert Louis Stevenson, fu forse la prima occasione per me di visualizzare un periodo storico di cui non sapevo nulla ( all’epoca della prima messa in onda avevo cinque anni, ma poi vi furono le repliche).
Tormentone delle nostre generazioni fu la sigla finale, quella freccia nera scagliata contro la sporca canaglia che “un saluto ti dà”.
Altro sceneggiato fu il “Marco Visconti”, anche esso adattato da un romanzo di Tommaso Grossi, e anche in questo caso fu la sigla finale a sopravvivere allo sbiadirsi dei ricordi. Era “Cavalli ricamati” romantica ballata in stile medievale cantata dal compianto Herbert Pagani.

2)
Avevo 15 anni circa; divoravo libri ad altissima velocità, passando lunghe ore in Biblioteca ( che allora era in villa Greppi). Avevo già letto alcuni fantasy, ma non bastavano mai.
Mi imbattei in quel volume di più di mille pagine e pensai: "Bene! per un po' ne ho da leggere." Quella volta presi solo quello in prestito, invece dei tre che usualmente sceglievo.
Iniziai a leggerlo, e non ho ancora smesso, dopo più di quarant'anni. Fu la mia prima volta del Signore degli Anelli.

3) 
L'influenza del Professore non è stata solo nelle suggestioni delle immagini che è riuscito a far scaturire nella mia mente, popolandola di elfi, hobbit e draghi. Quello è il livello primario e, a mio parere, quello meno importante. Il nucleo pulsante del messaggio è che un autore è un sub-creatore, e che è chiamato non semplicemente a raccontare storie, ma generare miti. Qui semplifico molto, ma il tema della mitpoiesi è quanto di più affascinante (sempre a mio parere) vi è nell'avventura letteraria di Tolkien. E a questo, con umiltà, cerco di riprendere e fare mio. Egli usava i linguaggi del mondo reinterpretandoli per la sua sub-creazione. Io, più semplicemente, mi limito a sfruttare luoghi e episodi storici. Il risultato non è che lontanamente accettabile ( potete già vedere dei risultati parziali nella raccolta di racconti "Alla ricerca dei Draghi", e prossimamente mi auguro con il progetto #madreselva ) ma è per me una gran fonte di soddisfazione .