Il capitano e la fanciulla


Il sole aveva cessato di indorare l’acqua del lago e si era coricato dietro i monti.

L'uomo aveva posato la spada, la punta tra le onde a raffreddare l’odio e il sangue che la ricoprivano.

Era stanco.

L'erba sotto il suo corpo era fresca, emanava un sottile profumo. Erba novella, buona per il pascolo. Chissà se la sua mandria c'era andata, al pascolo, quest'estate.

Nauseato per tutto il sangue versato, le gambe verso l'acqua del lago che pigramente sciabordava, portava la testa all'indietro, scrutando le pendici della montagna striata dal sangue di guerrieri e di draghi.

Gli abitanti del borgo di Amandael avevano accolto lui e i suoi armigeri senza dire una parola, rifocillandoli e ospitandoli nelle loro case. Il nemico era stato respinto, ma il prezzo pagato era stato molto alto.

Tre dei suoi uomini erano stati uccisi, e molti giacevano senza conoscenza, preda dell’alito del drago. Anche tra gli uomini del lago molti erano stati e giacevano ancora in un torpore dal quale nulla poteva svegliarli.

Per altri, solo il silenzioso passaggio al sonno eterno.

Lo sciamano del villaggio stava facendo tutto quanto era in suo potere, ma al vedere la natura delle ferite aveva scosso la testa.

Molti tra gli uomini persi erano stati suoi amici, e tra chi gia-ceva nella terra del piccolo cimitero del villaggio vi era suo fratello.

Con lui aveva passato molte stagioni a condurre le bestie sull’alpe. Avevano insieme riso e provato paura, arrampicato e scaracollato giù per discese interminabili, sognato giovinette da corteggiare e famiglie da costruire.

La vita lo aveva poi condotto per altri sentieri, lui Capitano delle guardie del Signore , e il fratello ancora là, sull’alpe a preparare formaggi e osservare tramonti.

Ora si rammaricava di aver chiamato anche lui, quando gli fu ordinato di raccogliere uomini per snidare i diavoli del Montcöden, che terrorizzavano la riva orientale del lago.

Il fratello aveva lasciato a malincuore le bestie e lo aveva seguito, perché aveva fama di grande Capitano, che mai aveva subito una sconfitta.

Piangeva, per quella e le altre perdite, ma un comandante obbedisce sempre al suo Signore, anche a costo della vita. Propria o degli altri. Anche a costo di sentirsi per l'eternità responsabile della morte o della mutilazione di chi ti considera un eroe.

Pensieri vani, come il risaccare dell’acqua.

Un fruscio tra le canne lo allertò. Non mise mano alla spada: un nemico non avrebbe fatto un tale rumore.

Infatti apparve ai suoi occhi una giovane del borgo. Portava una cesta colma di cibo.

La osservò, sorpreso dal suo incedere a un tempo stesso leg-giadro e incerto. Non portava le vesti infagottate dei contadini, ma una tunica leggera che ne esaltava le forme, suscitando in lui più di un’emozione.

Le spalle dritte, i seni sboccianti dalla tunica, le braccia diafane e vellutate la rendevano una creatura desiderabile a chiunque fosse dotato di occhi e non fosse più un bambino

“Il capo villaggio mi ha chiesto di portarti da mangiare e bere”.

Il cavaliere fece un cenno come per ringraziare, ma la ragazza lo fermò, posandogli la mano sulla spalla.

Ebbe come un brivido. La mano della fanciulla, avvertita da sotto la tunica, pareva senza calore.

Lei riprese: “No, non occorre. Siamo noi a doverti ringraziare. I diavoli del Montcöden opprimevano il villaggio da anni, pretendendo tributi, e quando i denari e le bestie scarseggiava-no, il pagamento era richiesto sotto forma di giovani donne.

Nessuno riusciva a tener loro testa.

La nostra resistenza era debole, solo qualche audace osava porre mano alla spada, ma quelli erano troppi e troppo crudeli, e del ribelle restava in breve tempo solo il ricordo.

Si dice che i Diavoli lo annegassero nel punto più profondo del lago, affinché il suo corpo non potesse più tornare in superficie”.

La osservò. Era molto bella, ma qualcosa nel suo volto gli pareva ambiguo, sfuggente.

Gli zigomi alti, il viso lungo tradivano l'appartenenza ad una gente che non era di quel villaggio.

Cercò lo sguardo della giovane, ma ella si voltò. Per un atti-mo l’ondeggiare dei capelli rivelò una strana ferita sul collo, dietro l’orecchio. Svelta la ragazza si pose il cappuccio del mantello sulla testa, e quel gesto non fece che accrescere la curiosità del capitano.

“Com’è cominciata la guerra?”.

Sapeva già le ragioni, ma le volle sentire dalla voce della fanciulla. Forse per ascoltarne la cadenza sensuale, che rapiva nell’ascolto, o forse per un dubbio che lo rodeva nel cuore.

“Si iniziò a causa dell’acqua.

Le tribù del Montcöden chiedevano l’accesso al lago, che a loro dire, gli era stato concesso molti anni addietro, ma poi improvvisamente era stato loro negato.

I notabili del paese avevano consultato i documenti in loro possesso, ma non risultava nessuna concessione o contratto. Nessuna carta che parlasse delle tribù del Montcöden.

Quelli allora chiesero di nuovo, e i nostri negarono ancora il passaggio. Iniziarono allora i primi scontri, si passò alle scaramucce, e da queste alle battaglie, che confluirono in una lunga guerra”.

Il Capitano aveva ascoltato il commento della ragazza in silenzio. Corrispondeva alla relazione che aveva spinto il suo Signore a convocare la sua Compagnia e a metterla a disposizione dei suoi alleati del Lago.

Un dubbio, tuttavia, si era affacciato dapprima con timidezza poi, al proseguire del racconto, con sempre più decisione.

“Li chiamate Diavoli del Montcöden, ma io li ho visti, ho visto il loro sangue, udito i loro lamenti. Sono uomini, coriacei e pericolosi, ma uomini.

E l’alito del drago altri non è che la nebbia che sale dalla pianura e si sfilaccia tra le guglie del monte”.

Posò il piatto colmo di cibo. Ne era stato attratto, ma ora era assalito da un senso di nausea.

Levatosi in piedi, incalzò la ragazza, con domande, mentre l’ansia lo prendeva, insieme alla paura di aver compiuto azioni inutili e di aver condotto alla morte uomini a causa di un disegno oscuro.

Ella abbassò il viso, forse a nascondere segreti che temeva di svelare.

“Guardami, quando ti parlo!”. Le prese il volto tra le mani, costringendola a guardarlo negli occhi.

E da quegli occhi fu rapito.

Nello stesso tempo, comprese di essere vittima di un inganno e di avere di fronte l’essere femmineo più bello e sensuale mai visto sulla terra.

Seppe che a scatenare la guerra non erano stati gli abitanti della montagna, e nemmeno gli uomini del lago: altre presenze avevano acceso la scintilla, perché il dolore del conflitto avvilisce le anime, e più facile è il loro controllo.

L’intento era proprio quello di mettere le genti le une contro le altre, per imporre la propria legge a entrambi i popoli.

E gli uomini scomparsi non erano morti, ma resi schiavi per soddisfare le ambizioni degli occulti esseri che si nutrivano di dolore.

Questo aveva saputo guardando negli occhi la fanciulla.

Lo aveva saputo perché anch’ella era parte di quella stirpe, che inseguiva il dominio di tutte le genti del lago, per instaurare un regno di dolore e di morte.

Voleva allontanarsi da lei, ma il suo sguardo lo ammaliava, e non riusciva a provare nessun sentimento ostile.

Mentre lui la guardava, sembrava recitare incantesimi. Quello che egli comprese fu una sola parola: “Resta”.

Ora nei suoi occhi vide promesse di notti infinite tra le stelle, cullati in una alcova galleggiante sul lago. Vide potere, voluttà, vide il dipanarsi di un amore esclusivo, appassionato e sensuale.

L’immaginazione corse verso banchetti festosi approntati in suo onore, balli, musiche, cibi succulenti, poi notti calde, baci appassionati e ancora potere, facoltà di decidere del destino di altri.

Ma, più forte, in lui albergava un senso di onestà e giustizia come mai in altri uomini , e il turbinio di immagini gli mostrò quale dura realtà di sofferenza lo avrebbe atteso.

Perché tutto questo si sarebbe realizzato giurando fedeltà alla stirpe della fanciulla, tessitori di trame avidi di puro potere.

La tentazione era forte, gli occhi lo stregavano, si sentiva scivolare verso il completo abbandono, ma il dolore per il sangue versato a motivo dell'interesse di altri lo scosse.

Rivide i suoi compagni feriti, il corpo esanime del fratello, i pianti delle donne e dei bambini che mai avrebbero dovuto vedere sangue e distruzione.

Allontanò bruscamente il volto della giovane dal suo. Era bella, ma di una bellezza perfida.

"Non posso" rispose.

Due parole, due sole parole racchiudevano tutta la nostalgia della sua terra, del sorriso della sua gente, tutto il dolore per il fratello perduto, tutta la fatica del combattere, e tutti i progetti per il domani.

Non più ammaliato dalla fanciulla, vide distintamente il suo futuro, ed era fatto di terre alte e bestie da accudire, di una casa e di una donna, di inverni accanto al fuoco e estati di canti e mietitura.

Mai più avrebbe mietuto vite.

Riprese, con voce bassa ma decisa. “Non avrai il mio cuore, incantatrice. Il tempo dell’inganno e finito”.

Lei gli voltò le spalle, sdegnata.

Raggiunta la riva, si liberò del mantello e della veste, rivelando la sua nudità diafana, e colmando il capitano di imbarazzata sorpresa.

Ma fu solo quando si gettò nell’acqua, disegnando un elegante cerchio e senza sollevare spruzzi, che notò le squame che aveva sulla schiena e l’elegante coda di pesce al posto dei piedi.




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