Una capra in meno


Avvenne un tempo che Nòna, ancora nella sua giovane età, girovagando per la Valle, si trovò improvvisamente senza denari. Le erano rimasti solo pochi soldi, per qualche  pagnotta e un tocco di formaggio, sufficienti per qualche giorno. La sua intenzione era di risalire la valle sino a superare la Goggia e raggiungere Plassa.  Perché i suoi scopi si  avverassero era peró necessario che disponesse di denaro. Si mise dunque  cercare lavoro nei pressi di Dzogn. Le dissero di provare da Gesualdo, mercante e proprietario di numerosi capi di bestiame, che cercava guardiani per accudire un gregge di capre.

Nòna andò e si propose per il lavoro.  L’uomo la squadrò da capo a piedi.

“Non mi pari una contadina, sei certa di voler fare questo lavoro?”  chiese con fare sprezzante.

“Ho già condotto animali, da giovinetta. E sono abituata a star sulla montagna, se è questo che volete sapere.” rispose in modo altrettanto risoluto la donna. 

“Sta bene - rispose Gesualdo - lavorerai per me, prima però dovrai superare una prova molto semplice. Ci sono lupi e orsi che potrebbero predare le mie capre, perciò ho bisogno di guardiani che sappiano contare, oltre che non temere di incontrare una belva. Ti chiedo di contare quante capre ci sono in questo recinto.”

Nòna fece per andare a rimuovere la sbarra che chiudeva il recinto, ma fu interrotta dal padrone.

“Aspetta, così son buoni tutti! Contarle una a una quando escono o entrano è semplice. Voglio che le conti senza farle uscire dal recinto.”

La ragazza stette per qualche attimo immobile, perplessa. Da che mondo e mondo la conta delle bestie si faceva quando la mattina le si faceva uscire per il pascolo o la sera quando le si richiamava. Provò a contarle, ma le bestie si muovevano e presto perdette il conto.

Quelle capre sembravano tutte uguali!  Doveva trovare un altro metodo, doveva fare in modo che fossero un po’ diverse.


Dalle ceneri di un fuoco spento trasse un tizzone, e con esso fece a ogni capra che contava un segno sul muso, così che non rischiasse di contarla di nuovo. Dopo aver controllato di non averne lasciata  nessuna, diede la risposta al padrone.

“Sono trentatre capre nel recinto, signore.”

Egli la guardò, sforzandosi di dissimulare la sorpresa.

“Sei in gamba, ragazza. Ve bene, accudirai alle capre su nei pascoli alti, per tutta la bella stagione. Ogni giorno manderò un uomo a prendere il latte che mungerai dalle capre.

Stai bene attenta. Se al ritorno avrai perso anche una sola capra, dovrai lavorare per me  tre anni tre mesi e tre giorni. Se riporterai tutto il gregge, ti pagherò.”

“E quanto mi pagherai?” 

“Tre grossi, tre denari e tre soldi.”

Nòna acconsentì.

Salì ai pascoli della Pianca col gregge e con due cani da pastore, e si stabilì nella grotta che fungeva da rifugio.

Durante il giorno, mentre curava le capre, masticava un pezzo di  raìs dulza e osservava il cielo mutevole, magnificando Dio per le Sue opere. La notte, chiuse le capre in un barech, il recinto di pietre e posti i cani ai due lati dell’ingresso, meditava sulla grandezza del Creato e sulla insignificante piccolezza dell’uomo.

Era sola sulla montagna, con la sola compagnia dei due cani, e il quotidiano appuntamento col ragazzo che prelevava il latte da lei munto per portarlo alla casera in basso dove l'avrebbero trasformato in formaggio.

“Ci sono disordini in paese - disse un giorno il ragazzo - hanno bruciato delle case e malmenato un paio di uomini. Meglio starsene qui sull’ alpe.” 

Nòna pensó che l’ uomo non perdeva mai occasione per mostrare il suo egoismo e la sua malvagitá, e quanto piú si credeva nel giusto e benedetti dal Signore, tanto piú il suoi delitti erano efferati e crudeli.

Un giorno, era giá meriggio inoltrato, e il sole si apprestava a gettare un velo aranciato sui versanti della valle esposti a occidente, dal sentiero vide avvicinarsi delle figure. Erano un uomo e la sua compagna, che in braccio portava un infante, mentre altri due bambini li seguivano.  Nona zittí i cani e andó loro incontro. Gli occhi degli adulti erano  atterriti e stanchi, i due bimbi non si reggevano in piedi.

“Abbiate caritá per noi - esordí l’ uomo - Avreste un po’ di latte per sfamare i nostri bambini? Son tre giorni che giriamo  per la valle, e abbiamo mangiato solo poche gallette. Per fortuna l’ acqua non manca.”

Nóna li fece  accomodare nella grotta, ravvivó il fuoco, offrí loro  pane e formaggio, latte per i bambini e un sorso di vino per  l’ uomo e la donna.

“Cosa vi porta cosí lontano da casa?” Chiese Nòna, sorpresa per questo insolito incontro sulle pendici dell’ Alpe.

“Non abbiamo piú casa, ne bestiame. Non abbiamo piú nulla.   E questo a causa del mio orgoglio.”

L’ uomo,  che portava il nome di Albino,  raccontò di essersi scontrato con un signore del suo paese. Questi pretendeva che gli si cedesse il passo.  Ma l’uomo era intento a governare una vacca, per di più irrequieta, e aveva risposto con male parole al signore.  Questi lo aveva minacciato, ma Albino non gli aveva dato peso.

“ Pochi giorni più tardi un manipolo di uomini si presentò alla porta di casa. Mi presero e malmenarono, fecero uscire mia moglie e i figli dalla casa e le diedero fuoco. 

Ci ingiunsero di non mettere più piede nel villaggio, che altrimenti l’avremmo pagata con la morte. Furono sicuramente mandati dal signore che avevo offeso. 

Siamo rimasti rintanati in un fienile per due giorni, poi ci siamo messi in viaggio. Oltre Valfundra  vi è un borgo dove vive un mio cugino, ci ospiterà lui, ma i bambini hanno fame e sono stanchi.”

“Questa notte dormirete qui - rispose Nòna - non è granchè, ma c’è riparo per tutti e la legna non manca. Il fuoco vi riscalderà e renderà più leggero il vostro animo. Domani vedremo cosa posso fare per voi.” 

La famiglia non smise di ringraziare sino a quando la notta calò sulla fiamma del focolare. Nóna offrì loro una tisana preparata da lei con le erbe dell’ alpe, artemisia, melissa, menta e verbena, per conciliare il sonno.

Il giorno dopo Albino e la sua famiglia si prepararono a lasciare Nòna.

“Aspettate!” disse loro, e entrata nel barech scelsa una capra femmina, la legò e la porse ad Albino.

“Tenete, darà latte per i vostri figli e quando vi sarete sistemati potrete venderla.”

La famiglia fu sorpresa per il dono, e abbozzarono un rifiuto. Si capiva però che il latte della capra faceva loro comodo.

“Ma tu come farai? La capra non è certo tua, dovrai pagarla.”

“Oh, non preoccupatevi per me, ho del denaro messo da parte per momenti come questi.”

Albino la guardò poco convinto.

“Andate, ora. Tra breve arriverà il ragazzo del latte e non vorrei che vi vedesse qui.”

Mamma e papà raccolsero le loro cose, diedero la cavezza al più grande dei loro figli e si misero in cammino, voltandosi di continuo a salutare Nóna. 

“Ti saremo sempre grati per la tua ospitalità. Se un giorno ci rivedremo ti ricompenseremo per il bene che ci hai fatto.”

“Aspetta, non mi hai detto il nome di quel signore così permaloso.”

“Si chiama Gesualdo, Gesualdo Stuardi. Ti auguro di non averci mai a che fare.”


Nòna soffocò una risata. Era forse un segno del destino che un parziale rimborso di quanto era stato sottratto ad Albino e alla sua famiglia provenisse dalle proprietà dello stesso Signore mandante di quel sopruso. Ma mentre salutava con la mano per l’ultima volta i suoi estemporanei amici pensò che si era andata a cacciare in un bel guaio. Come avrebbe rimborsato la capra mancante? 

Doveva pensare a una soluzione, e in fretta, che la stagione bella volgeva al termine.

Passò giorni a rimuginare, immaginando scenari in cui lei fuggiva, lasciando il gregge incustodito. Ma così rischiava di avere alle calcagna gli uomini di Gesualdo, che  non sarebbero stati teneri con lei. Oppure avrebbe addotto come scusa l’attacco di un lupo o un orso, o la caduta in un dirupo. Ma niente, tutte queste scuse non l’ avrebbero salvata dallo stare al suo servizio per  tre anni tre mesi  e tre giorni. Rimpiangeva di aver accettato  l’incarico di guardiana di capre, ma non rimpiangeva di aver aiutato quella famiglia. Piena di questi pensieri, vedeva i giorni scorrere, e il mattino farsi piú pungente, e le ombre della sera allungarsi sempre piú. 

Venne il giorno  della discesa dall’ alpeggio. Nóna era ormai rassegnata a passare un bel po’  di tempo a servizio di Gesualdo, perché non le era riuscito di trovare una soluzione all’ impiccio della capra mancante. Peró era serena, perché sapeva di aver agito giustamente.

Gesualdo fu burbero e spiccio con lei. 

“Avanti, porta le capre nel recinto, e contale ad alta voce, così che possa controllare.”

Fece come le fu detto e cominció.

“Una, due, tre, quattro…”

Doveva almeno inventarsi una scusa, non sarebbe servito ad alleggerirle il giogo che l’ avrebbe legata a Gesualdo per  tre anni, tre mesi e tre giorni, ma almeno…

“Diciassette, diciotto, diciannove, venti…”

… almeno non sarebbe stata costretta a dire la veritá, che aveva aiutato una persona da lui perseguitata.

“Ventinove, trenta … trentuno e trentadue…”

“E trentatre. Bene, le hai riportate tutte, ottimo lavoro!” esclamò soddisfatto Gesualdo

Nóna rimase a bocca aperta. Com’ era possibile?

“Sono giuste?”

“Certo, sono trentatre.”

“Padrone, hai contato anche tu? Sono trentatre?”

“Come te lo devo dire?  Adesso non continuare a tediarmi, altrimenti mi passerá la voglia di pagarti.  Stai qui un momento, che vado a prendere il denaro.”

Nóna era stupefatta. Era certa di aver donato una capra alla famiglia di Albino, perció avrebbero dovuto esserci trentadue capre, non  trentatre.

Da dove era spuntata quella capra?

Gesualdo tornó con una borsa.

“Come pattuito vi sono tre grossi, tre denari e tre soldi. Puoi controllare se vuoi.”

Nóna prese la borsa tintinnante senza dir nulla. Quei soldi le avrebbero permesso di proseguire il suo viaggio.  Ma la capra? Le contava ogni sera, su all’ alpe, quando rientravano nel barech, ed erano sempre trentatre, e da quando aveva dato la capra ad Albino erano sempre state  trentadue.  

Mentre si allontanava veloce, per un irrazionale timore che quella della capra in più fosse solo un incantamento dal quale Gesualdo si sarebbe presto avveduto, continuava a cercare una spiegazione a quanto le era accaduto.

Ma spiegazione non v’era. Semplicemente, lo sguardo del Signore si era posato sul gesto di Nòna, che aveva tentato di riparare a uno sgarbo di un uomo ingiusto nei confronti della Giustizia del mondo. Egli si era compiaciuto del gesto di generosità e l’aveva premiato con il dono di una capra.


(liberamente tratto da una leggenda medievale)